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Gaza, Riotta e Costa: il giornalismo italiano, spiegato bene (tipo)

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In questa foto potete ammirare Francesco Costa, firma di punta de Il Post, mentre assaggia un Double Mc Riotta al sangue in un lussuoso ristorante a Gaza, prima di accingersi a scrivere i suoi meravigliosi status su Facebook, per poi farci la schermata e condividerli su Twitter perché "in 140 caratteri non ci sta"


Al che uno prima si domanda perché se in 140 caratteri non ti sta scegli di condividerla su Twitter, visto che se non puoi semplificare un concetto complesso — e cazzo se il conflitto Israelo-Palestinese è complesso — in un social network che fa della semplificazione il suo leitmotiv, allora stai comunicando in modo sbagliato.

Ma poi ci soffermiamo sui contenuti di tale ragionamento, e ci vuole poco a capire che chiunque sia convinto di riuscire a semplificare e accostare due conflitti diversi tra di loro, come quello della Syria e quello della Palestina, in uno status su Facebook, molto probabilmente sarà anche convinto di poter discutere di tali tematiche su Twitter. Quindi restiamo tutti abbastanza allibiti che una delle firme di punta de Il Post ragioni in modo così banale e poco competente da essere, appunto, una delle firme di punta de Il Post.

Tuttavia a questo punto scopriamo che esistono altre firme de Il Post ancora più impreparate di Francesco Costa. E così troviamo che forse l'errore è strutturale, e si svela l'intero sistema del giornalismo italiano 2.0.

Ora, anche il più stolto di voi si sarà reso conto che non sono ancora entrato nel merito e non ho confutato i contenuti di Costa. Vi domando scusa, ma per farlo dovrete arrivare fino alla fine, perché saranno necessarie alcune premesse, rotture di cazzo e perddio Costa, mettici un po' di salsa BBQ in quel panino che a Riotta piace al sangue. (remember remember Libera Nos a Riotta)

Gli effetti di Google Analytics sul Giornalismo Italiano

Uno dei problema più grossi del giornalismo online italiano si trova nel fatto che attualmente, grazie a strumenti come Google Analytics, i giornali sanno con certezza cosa preferisce il pubblico e - nella maggior parte dei casi - lo assecondano. È un argomento affrontato un anno fa nell'Ebook di Jumpinshark "il Web e l'arte della manutenzione della notizia". Click, click, click vogliono solo click.

Questo unito al fatto che in Italia non è mai esistita una distinzione tra informazione di qualità e informazione da tabloid genera il successo della colonna destra, che diventa un elemento permanente e pervasivo del giornale fino al suo apice, oggigiorno rappresentato dagli articoli sulle scarpe e i vestiti della Ministra Boschi nel header del sito. Quindi non più colonna destra bensì titolone centrale

siparietto: il giornalista del presente assuefatto dalla Boschi e il suo stile


L'atteggiamento banale di informazione da tabloid per attirare link succede nella maggior parte dei casi, perché i giornali - checché si chiamino online - continuano ad avere quel tipico approccio politico-pedagogico che ha da sempre caratterizzato la professione in Italia, e non solo non assecondano il pubblico ma pare tentino di forgiare l'opinione pubblica come se fossimo ancora ai tempi dell'Unità d'Italia o del Dopoguerra.

Ne "Il Giornalismo, che cos'è e come funziona" Carlo Sorrentino spiega che in Italia i giornali adottavano una narrazione degli eventi concorde con quella dell'ideologia che li aveva generati (e li finanziava), mantenendo un approccio autoreferenziali di élite-intellettuale che parla al élite politica. Ai tempi questo approccio veniva distinto dal linguaggio denominato politichese. Oggi è peggio perché il linguaggio è diventato colloquiale (come quello de Il Post), e quindi raggiunge un pubblico vasto, ma l'intenzione resta la stessa.

Online ma di vecchio stampo

Ma com'è possibile che un giornale online tratti argomenti attuali in modo "fresco" senza perdere quella componente politico-pedagogica? Prima di arrivare a Il Post prendiamo ad esempio un giornale online relativamente nuovo: Huffington Post Italia.

Da un giornale che ha formato il suo successo con l'aggregazione di blog e l'utilizzo intenso dei social network ci si attende una qualità di informazione attuale che tiene conto costantemente delle narrazioni che corrono sui social. Tant'è che pochi giorni fa ha pubblicato questo articolo:

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All'interno però c'è una tesi terrificante: in pratica stando a chi ha scritto questo articolo i bambini morti non sono la testimonianza delle atrocità e crimini di guerra che Israele sta commettendo, ma solo un "successo mediatico" per Hamas.

Ora, io capisco perfettamente che si possa criticare le immagini dei corpi morti sui social. In parte penso che se diffuse eccessivamente generino l'effetto contrario e finiscano per anestetizzare la sensibilità dei lettori. Ma da lì a dire che sono un "successo mediatico" per Hamas ne passa e come.

A farci caso per bene tutto l'articolo sottende all'idea degli scudi umani utilizzati da Hamas. Ed è un'idea che appartiene soltanto alla propaganda israeliana (atroce quando le immagini dei bambini morti). Ma ovviamente le parole "scudo umano" non compaiono all'interno. Quello che invece viene detto è che le famose "linee guide" per l'utilizzo dei social di Hamas "sembrino dare i suoi frutti". Cosa parecchio discutibile.* 

Sopratutto per il semplice motivo che i social media non sono controllabili come giornali e TV. Quindi poniamo un assunto indispensabile: i media non raccontano mai la realtà del conflitto ma solo una precisa tipologia di narrazione (il frame scelto da ogni redazione), per cui esiste un "fronte di guerra reale" e un "fronte mediatico".

È sempre stato così, sin dalle prime guerre mondiali, passando per la guerra fredda ed arrivando al Vietnam e alle Falkland/Malvinas. I servizi militari e lo stato hanno sempre cercato di controllare e regolare i giornalisti, a volte riuscendoci, a volte fallendo. 

Come? Attraverso diversi stratagemmi, il primo è quello di diventare fonti dirette (le famose fonti ufficiali) il secondo è quello di avere il controllo dei mezzi di comunicazione: nella prima e seconda guerra mondiale i cavi telegrafici passavano tutti attraverso l'Inghilterra e questo ha condizionato i reporter di guerra al punto tale che negli Stati Uniti la propaganda degli alleati era decisamente più incisiva della propaganda tedesca.

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Oggigiorno però il fronte mediatico andrebbe diviso in due: quello mainstream e quello social media, chiamiamolo fronte mediatico 2.0.

Nel primo c'è una propaganda oscena dei media occidentali, secondo cui all'indomani di un bombardamento da parte di Israele la notizia più rilevante è che siano morti 13 soldati israeliani e non 100+ morti palestinesi di cui più del 70% civili (fonte ONU) che passa in secondo piano. Il secondo è meno manipolabile (lo è, in modo subdolo, ma molto meno dei mainstream).

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Ora secondo quindi la tesi dell'HuffPo il predominare di immagini crude è una vittoria di Hamas. Le darei ragione se non fosse che l'accesso alla fonte (alle immagini dei morti) non è solo di Hamas. Poiché chiunque, anche giornalisti occidentali che si trovano sul posto, possono twittare quelle immagini che non rientrano nella narrazione mainstream.

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Una cosa però è certa, Israele sta perdendo sul fronte mediatico 2.0.

Israele non twitta le immagini dei morti? Non può. Sul loro fronte di guerra ne sono morti 30 di cui solo 2 civili. Mentre il numero di vittime - sopratutto civili - che si è lasciata dietro in Palestina è talmente enorme che la brutalità fa acqua "da tutti i social". Dove ripeto, ha pochissimo controllo. L'IDF non può controllare neppure le immagini di adolescenti israeliane che sono talmente assuefatte dalla propaganda da mettersi in posa su Instagram per messaggi di amore al proprio esercito. Non proprio una bella immagine se si vuole far passare l'idea che "anche Israele stia soffrendo".

Israele-Palestina e la narrazione de Il Post

Di tutte le narrazione mediatiche italiane sul conflitto Israelo Palestinese il giornale italiano online che più si è distinto è Il Post di Luca Sofri (lascio perdere Europa Quotidiano perché è da considerare un giornale di partito schierato e con poche visite, e le atrocità propagandistiche che scrive Rondolino lasciano il tempo che trovano).

In pratica Il Post affronta il conflitto con un approccio apparentemente innocente, per chi vuole capire il la situazione, che però pedissequamente finisce sempre per abbracciare posizioni da propaganda israeliana. Il che curiosamente lo fa finire sulla stessa linea d'onda dei giornali mainstream.  

L'ha fatto Giovanni Fontana con il suo celebre post sulla "mappa bugiarda israele-palestina". Parte con premesse e dubbi condivisibili, ma finisce per veicolare la peggiore propaganda israeliana, ovvero sia la teoria secondo cui prima del '48 non esistessero i palestinesi, concetto espresso persino dal premier israeliano Golda Meir secondo cui "Non esiste qualcosa come un popolo palestinese" (1969). 

Un'altra teoria fortemente critica dei media israeliani è quella veicolata da Francesco Costa nel post su facebook che passo a confutare:

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A) il conflitto Israelo-Palestinese è diverso da quello della Siria. Intanto perché si presta a diversi tipi di narrazioni. I media possono concentrarsi nell'aspetto religioso e quindi semplificare il frame dicendo che è una guerra di arabi contro ebrei (posizione favorevole a Netanyahu), ma possono anche concentrarsi sull'aspetto laico-territoriale, togliendo il frame religioso. La versione "ufficiale" israeliana è alle antitesi della versione palestinese, per i primi i secondi non esistevano, e questa diversità di versioni ci aiuta a capire da che parte sta un medium quando racconta il conflitto (vi ricordate l'immagine di prima? 100 morti senza appartenenza, ma 13 morti israeliani, ecco).

B) alla luce di quanto detto nel punto A, dire che "agitarsi per Gaza" è "andare sul sicuro" sottende al pensiero che il conflitto israelo-palestinese sia qualcosa di semplice, di più semplice di quello della Siria. Il che è assurdo. Ma sopratutto imposta il paragone su due conflitti diversi. A parte il fatto che chiunque è libero di informarsi su un conflitto più che su un altro, ma tant'è.

Sia chiaro, io non ce l'ho con Francesco Costa, che non conosco, ma il suo status su Facebook è molto significativo perché il paragone con la Siria è un aspetto che si ripete continuamente, sopratutto su Il Post. È una delle peggiori argomentazioni che si possano fare perché fa enfasi sulla statistica dei morti, ed è raccapricciante doverlo leggere su un giornale. 

Non a caso il paragone l'ha fatto ieri Davide De Luca, compiendo il solito modus operandi de Il Post, si parte con un articolo che porta una domanda nel titolo: Israele sta davvero cercando di risparmiare i civili?. Per poi virare a conclusioni (ormai a mio parere consolidate sul giornale, lo spiego nel paragrafo successivo) che veicolano le idee di propaganda israeliana. 


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Il fatto che De Luca, per sostenere alcune delle sue argomentazioni (sopratutto le idee che sottendono l'intero articolo), citi informazioni rimandando ad un link all'interno del suo stesso giornale, oppure al blog di Giovanni Fontana (che sebbene non fa parte della redazione ha scritto il post della cartina trattato sopra), o nel peggiore dei casi citi "fonti ufficiali", è un segno che la narrazione e il frame intrapresi da Il Post si sono consolidate come può succedere in qualunque giornale di vecchio stampo. Ed è gravissimo. Basta guardare l'immagine sopra, al di là del contenuto, sono link che chiamerei di auto-narrazione: "come avevamo spiegato qui", "come ha scritto Giovanni là".

A mio parere Il post di De Luca è il risultato della auto-narrazione che si è data Il Post sul conflitto Israelo-Palestinese, basta leggerlo per capire che effetto fa.

Spiegatemi come sia possibile dire che "Israele non ha nessuna intenzione ad uccidere civili" all'indomani di un bombardamento in un campo profughi, ma sopratutto sotto quale logica "scientifica" si giudicano i danni "ridotti" e le intenzioni poco guerrafondaie su un armamentario in potenza. Davvero, la critica è semplice: non puoi dire che siccome in potenza Israele può uccidere tutti il fatto che non abbia ancora agito di conseguenza significa che non ha intenzione di farlo

Non è scienza, è una opinione basata su una concezione di conflitto che non tiene conto di rapporti internazionali, logica di guerra mediatica e tante altre cose che un giornalista dovrebbe sapere, ad esempio la pressione che l'opinione pubblica mondiale potrebbe esercitare se domani Israele uccidesse davvero tutti senza neppure la giustificazione debole degli scudi umani. No eh? È meglio fare elucubrazioni statistiche sul numero di morti per dimostrare chissà quale intenzione pacifica nelle azioni di Israele, è molto più proficuo e igienico. Pulisce la coscienza e aiuta a dormire tranquilli.



* anche perché se di manuale di propaganda vogliamo parlare, esiste quello israeliano, manuale dell'hasbara del 2009: scaricabile da qui


EDIT: Due giorni dopo questo articolo, e dopo la discussione nei commenti che ha visti coinvolti De Luca e Luca Sofri, a cui ringrazio per aver risposto, Il Post ha deciso di schierarsi su quel che sta succedendo a Israele con questo editoriale: Israele sta massacrando centinaia di civili


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